di Giuseppe, Pio Macario
In questi giorni molti incontri congressuali stanno mettendo al centro delle discussioni il tema sul Futuro della professione del Dottore Commercialista e non possiamo che gioire per questa maturazione culturale “in progress” da parte della nostra categoria professionale.
Infatti, questo tema mi coinvolge emotivamente sin dagli inizi della mia attività professionale, inducendomi a condurre metaforicamente una “battaglia” culturale, così come si evince anche dalla pagina “valori” del mio sito. Da sempre, infatti, sostengo che il Commercialista è e deve essere l’esperto aziendalista per eccellenza, in grado di sapersi porre da “manager esterno” affiancandosi alla direzione aziendale nelle sue azioni operative e strategiche. D’altronde ce lo riconosce lo stesso D.Lgs. 139/2005.
Va da sé che ciò si rende possibile solo se, in primis, ci convinciamo della necessità della specializzazione professionale e quindi dell’opportunità ed utilità di lavorare in “team” anche per uno stesso cliente, aprendoci alle soluzioni più avanzate di “networking”.
Ma, al tempo stesso e per pragmaticità, va sottolineata l’oggettiva difficoltà presente nel nostro tessuto economico, rappresentato per lo più da “piccole e micro” imprese, che sono lontane da questa vision piuttosto che dalla possibiltà di potersi permettere due o più professionisti ed accettare, quindi, anche maggiori oneri.
La verità, a latere, insiste anche nel vuoto culturale che ci circonda, rappresentato dal fatto che noi stessi non abbiamo mai cercato di diffondere la cultura manageriale del Commercialista, così come i suoi compensi non vanno considerati un mero “costo” bensì una vera “risorsa di utilità”, alla stessa stregua, ad esempio, di un investimento in marketing piuttosto che in innovazione produttiva.
È attraverso il nostro contributo manageriale che un’azienda dovrebbe conoscere, approfondire e affrontare le varie dinamiche aziendali, essendo proprio noi gli economisti d’azienda!
Ma forse, sulla fattispecie, rischio di allargare il tema e i perimetri della discussione, perché le responsabilità vanno individuate anche ai percorsi formativi attraverso cui matura uno studente, prima, e un praticante Commercialista, dopo.
A latere, devo aggiungere che una buona parte delle responsabilità appartengono anche ai nostri colleghi “seniors” che ci hanno preceduto in tutti questi decenni, i quali hanno ritenuto piegarsi alla Riforma Fiscale degli anni ’70 per mere opportunità di lavoro, sia pur altamente legittime, abbandonando, forse un po’ inconsapevolmente, tutte le altre “ghiotte” opportunità professionali che un’economia di azienda offre e di cui al tempo stesso necessita, oltre appunto alle esigenze di “financial accounting” e di “tax accounting”.
Credo che oggi torni utile ed opportuno, per non perderci in mere riflessioni critiche, se pur decisamente costruttive, aprirci seriamente ad un cambiamento culturale che sia innanzitutto endogeno alla nostra categoria e alle nostre varie associazioni, e quindi al Consiglio Nazionale in primis, per poi diffonderlo adeguatamente ai nostri “stakeholders” economici, finanziari ed istituzionali, attraverso scelte e comportamenti proattivi e rappresentativi di questo reale “change management”.
Esempi in tal senso possono essere sicuramente rappresentati da “network professionali”, seriamente e adeguatamente organizzati, oltre che dalla “consolidata” soluzione degli studi associati, anche se questi ultimi continuano a non raccogliere, nel nostro Paese, adesioni o soluzioni di successo e/o continuità operativa.
Ciò in verità denota che non sarà mai sufficiente predicarlo agli altri, se prima non ci convinciamo delle leve competitive della “complementarietà” a fronte delle debolezze strutturali ed ataviche della “unicità”, evitando di fare pura retorica e non dimenticando, al tempo stesso, di ringraziare, sempre e comunque, i nostri colleghi “seniors” per gli sforzi profusi in questi anni nella ricerca e nello sviluppo delle nostre “technicalities” professionali.
GpM
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